Il processo ai Chicago 7

Luce Cine Club

Svelti!!! Svelti… le luci della sala stanno per spegnersi… è tempo di film.. è tempo di Luce Cine Club.

Oggi puntiamo la nostra attenzione su una pellicola che sicuramente ha numerose ottime carte da giocare alla prossima cerimonia degli Oscar, ovvero Il processo ai Chicago 7.

Questo film, uscito su Netflix verso la fine del 2020, è scritto e diretto da Aaron Sorkin.

La genesi creativa de Il processo ai Chicago 7 parte addirittura nel lontano 2006, quando Steven Spielberg commissionò a Sorkin una sceneggiatura tratta da un evento realmente accaduto.

Causa scioperi, problemi di cast, problemi di budget ed impegni su altri progetti degli interessati, il film cadde nel dimenticatoio.

In seguito all’elezione di Donald Trump nel 2016 e al buon debutto di Sorkin nella veste di regista, Spielberg  decise di riesumare l’idea di un film sui Chicago 7 con Sorkin nel ruolo anche di regista e con alle spalle la supervisione del buon Steven.

Aaron Sorkin è sicuramente uno degli sceneggiatori di punta del cinema americano degli ultimi vent’anni. In particolare vorrei ricordare il premio Oscar vinto nel 2010 per la sceneggiatura di The Social Network di David Fincher e quella del biopic Steve Jobs di Danny Boyle del 2015. Ed è proprio con Il processo ai Chicago 7 che Sorkin è in corsa nuovamente per l’Oscar nella categoria sceneggiatura originale, nonché per quella del miglior film.

I fatti narrati nel lungometraggio si svolgono tra il 1968 e 1969 nella città di Chicago. In agosto, in occasione della convention democratica ebbero luogo degli scontri tra la Guardia Nazionale e gruppi di manifestanti contro la guerra del Vietnam, in corso in quegli anni.

Gli organizzatori della manifestazione di protesta vennero dapprima scagionati dall’accusa di aver incitato alla rivolta, ma con la salita al potere del repubblicano Nixon, vennero messi alla sbarra per cospirazione. In particolare furono incriminati i sette attivisti (il sette del titolo) che all’epoca guidavano le varie fazioni della sinistra che si schierava apertamente e attivamente contro il conflitto nel Vietnam. In realtà sette più uno poiché anche il leader delle Pantere Nere venne coinvolto, in maniera del tutto pretestuosa, nel processo, senza aver un avvocato e trattato senza alcun rispetto dei più fondamentali dei diritti umani.

Il film si concentra sulle 180 (centottanta!!!!!) udienze del processo-farsa messo in piedi per “spazzare via” la scomoda presenza di quella parte di popolo americano, pacifista e non, che accusava l’America di genocidio e di mandare al massacro migliaia di giovani soldati statunitensi per motivi di mero interesse economico, assurdi ed ingiustificati. Tra le mura di quell’aula di tribunale assistiamo ad abusi di potere inconcepibili: un giudice smaccatamente schierato dalla parte dell’accusa (uno spregevole e bravissimo Frank Langella) impegnato ad accusare ingiustamente gli imputati e i loro avvocati di oltraggio alla corte ed a rimuovere dalla giuria chi era sospettato di simpatizzare per la difesa.

Venne minimizzato il ruolo di agenti sotto copertura che furono inviati appositamente nel corteo per aizzare i manifestanti allo scontro fisico con le forze dell’ordine, che tra l’altro furono le prime a colpire violentemente la controparte.

Insomma, venne messo in piedi un vero e proprio processo politico, una caccia alle streghe in piena regola, in modo da demonizzare e neutralizzare l’avversario facendone l’unico capro espiatorio di un clima di alta tensione sociale che contraddistingueva quella pagina di storia americana.

Il film è ovviamente molto parlato, ma scorre davvero veloce, grazie anche a momenti di humor dissacrante, in un crescendo di tensione palpabile ed efficace.

Le ripetute nefandezze dell’accusa e di chi ha montato ad arte questo teatrino folle ed antidemocratico portano forse a simpatizzare troppo per i sette attivisti e a semplificare troppo la questione con un semplice buoni contro cattivi, ma non mancano critiche alle varie anime dell’attivismo anti bellico, a volte troppo figlio dei personalismi dei propri leader capricciosi, populista ed ambiguo.

La pellicola è un alternarsi tra il processo e le sue schermaglie, attraverso l’utilizzo sapiente di flashback e il giorno della manifestazione incriminata, in modo da mostrarci i vari punti di vista e le sfaccettature più diverse di una giornata di scontri davvero complessa ed articolata.

Ottimi il montaggio serrato e le colonne sonore utilizzate.

Meraviglioso il cast, il cui utilizzo Sorkin ha saputo dosare al meglio, regalando ai numerosi attori momenti intensi e di forte impatto emotivo. Tra tutti, una menzione speciale va allo spettacolare hippie, Sacha Baron Cohen (che tutti ricorderanno per il dissacrante Borat) che ci regala un’interpretazione memorabile che, non per niente, gli è valsa la nomination come miglior attore non protagonista ai prossimi Oscar.

Altro punto a favore del film è che, seppur ambientato cinquant’anni fa, risulta attualissimo e pone questioni, problematiche e riflessioni molto simili a quelle che riguardano l’America di oggi così spaccata dalla presidenza Trump, dalle tensioni razziali che hanno portato alla nascita di movimenti di protesta come il Black Live Matter, e sociali.

Scorrono i titoli di coda.

Il film è finito, ma non la sua magia.

Buone cose.

Il Corry.

  • Sacha Baron Cohen venne scelto per il ruolo dell’attivista Abbie Hoffman già nel 2007 al momento della prima stesura della sceneggiatura e richiamato poi ben 11 anni dopo.
  • Oltre a quello per la sceneggiatura, miglior film e a quello per l’interpretazione di Baron Cohen, il film concorre agli Oscar anche per la fotografia, il montaggio e la miglior canzone.